La contrattazione dei c.d. “posti barca”.
Lo sviluppo del settore nautico e l’accresciuto interesse verso le imbarcazioni hanno comportato un conseguente aumento della richiesta dei c.d. “posti barca”.
L’acquisto di un posto barca, però, porta con sé una serie di problematiche, soprattutto di natura giuridica.
La sua analisi, pertanto, deve partire dalla normativa di riferimento.
L’articolo 822 del codice civile prevede che "fanno parte del demanio marittimo: il lido, la spiaggia, i porti, le rade; le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare; i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo".
L’articolo 823 c.c., invece, dispone che “i beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano”.
Dal combinato disposto di tali norme emerge che i posti barca, essendo collocati all’interno di porti, rade, foci dei fiumi che sboccano in mare, costituiscono beni demaniali e possono essere alienati solo nei limiti stabiliti dalla legge.
Tale aspetto non è di poco conto. Difatti, la caratteristica della demanialità comporta il necessario asservimento del bene agli scopi di pubblico interesse; scopi che possono essere raggiunti attraverso l’impiego diretto del bene da parte dello Stato, oppure attraverso l’utilizzazione dello stesso da parte della collettività.
Per quanto riguarda l’utilizzazione collettiva, bisogna chiedersi se l’utilizzo del bene demaniale possa essere riservato in via esclusiva ad una sola persona, in modo da escluderne il godimento alla restante collettività.
Si anticipa che la risposta è positiva, ma necessita di alcune osservazioni alla luce dell’articolo 823 c.c., sopra citato, laddove prevede che i beni demaniali “non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano”. Difatti, nella pratica il regime di indisponibilità dei beni demaniali, comporta che l’utilizzo degli stessi da parte di una persona in maniera esclusiva sia sottoposta ad un apposito procedimento amministrativo, il cui esito si concretizza nella c.d. Concessione Amministrativa.
In sintesi, con tale concessione:
- si valuta la compatibiità tra l’uso esclusivo del bene demaniale e il raggiungimento delle finalità di pubblico interesse;
- si definiscono gli obblighi e le facoltà spettanti al concessionario, tra cui anche la possibilità di cedere il godimento a terzi.
Va capito, però, cosa si intende dal punto di vista giuridico per utilizzo del “posto barca”. Infatti, tale analisi è strettamente connessa alla circolazione del diritto attribuito in primis al concessionario e conseguentemente ai suoi aventi causa.
A tal fine, non può che farsi riferimento al contenuto dell’atto amministrativo e, in particolare, ai poteri/facoltà derivanti dallo stesso; solo in questo modo è possibile riempire di sostanza il diritto attribuito al concessionario.
Partendo da tale presupposto la Corte Suprema di Cassazione ha fatto alcune esemplificazioni distinguendo le ipotesi in cui il diritto potesse assumere natura reale da quelle in cui potesse assumere natura personale. Ad esempio, ha assimilato il diritto derivante da concessioni di suolo pubblico con facoltà di edificare al diritto di superficie, e il diritto derivante da concessioni di immobili per il commercio al dettaglio al diritto personale di godimento (assimilabile alla locazione).
Ovviamente tali ipotesi non possono avere carattere di esaustività, dovendo procedere volta per volta all’interpretazione delle clausole incluse nella concessione amministrativa.
A questo punto, però, una domanda sorge spontanea: oggetto di concessione può essere la piena proprietà?
La domanda è da ritenersi legittima, in quanto normalmente l’acquirente di un posto barca ha lo scopo di ottenere il pieno ed esclusivo godimento dello specchio acqueo necessario all’ormeggio della propria imbarcazione.
La risposta sembra essere negativa per due ordini di motivi:
- la proprietà dello Stato è caratterizzata dall’obbligo di destinare i beni demaniali all’uso collettivo per il raggiungimento di finalità pubblicistiche, mentre la proprietà “privata” è caratterizzata dallo ius utendi et abutendi, ossia il diritto di usare e abusare della propria cosa, fino al limite estremo dell’abbandono (esempio lampante è l’istituto della usucapione, applicabile alla proprietà privata ma non ai beni demaniali);
- i proprietari “privati” possono disporre liberamente dei propri beni, mentre i beni demaniali sono sottoposti al regime di indisponibilità di cui all’art. 823 codice civile.
Da ciò ne consegue che la piena ed esclusiva proprietà sarebbe incompatibile con la destinazione pubblicistica del bene demaniale1.
Entrando nello specifico del c.d. “posto barca”, bisogna innanzitutto premettere che la sua realizzazione avviene da parte di un concessionario del bacino portuale (demanio marittimo), il quale attraverso opere di bonifica ed edificazione procede a realizzare un approdo turistico comprensivo dei posti barca. Appurato, però, in precedenza che il concessionario non può essere titolare di un diritto di piena ed esclusiva proprietà sul bacino portuale, logica conseguenza è che oggetto di trasferimento in favore dell’acquirente del posto barca non può certo essere un diritto di ampiezza maggiore rispetto a quello di cui è titolare il dante causa.
Resta da appurare che diritto acquisirebbe l’acquirente di un posto barca.
Non sussistono problemi interpretativi nel caso in cui il concessionario intenda sostituire altri nel godimento della concessione: il terzo acquirente subentrerà nella posizione giuridica del concessionario con tutte le relative facoltà ed i connessi obblighi2.
Problematiche, invece, sorgono nel caso in cui il concessionario non intenda cedere la propria posizione nei confronti della P.A. ma voglia cedere a terzi il godimento dei beni oggetto di concessione, quali che sono i posti barca.
Invero, tale fattispecie non trova regolamentazione legislativa ed è stato compito della giurisprudenza qualificare, di volta in volta, l’oggetto del c.d. “contratto di ormeggio”.
La Corte di Cassazione, al riguardo, si è espressa più volte e, oltre a definire “contratto di ormeggio” la convenzione con cui si concede il diritto di stazionare con un’imbarcazione in una porzione di specchio acqueo, ha qualificato tale convenzione quale contratto atipico riconducibile a diverse tipologie negoziali tipiche a seconda del contenuto del rapporto.
Basti pensare che il contratto di ormeggio può comprendere, oltre la disponibilità dello specchio acqueo anche una molteplicità di servizi accessori e complementari, quali ad esempio la somministrazione dell’energia elettrica e dell’acqua, il rimessaggio, la pulizia e la manutenzione dell’unità da diporto, il servizio di sicurezza, i posti auto, e così via dicendo.
L’ampia varietà di possibili pattuizioni e clausole negoziali ha condotto la Suprema Corte alla seguente bipartizione in merito alla qualificazione del diritto attribuito all’acquirente:
- se il concessionario, anche a discapito del “nomen iuris”, ha inteso trasferire parzialmente o totalmente la sua posizione si dovrà qualificare il contratto come sub-concessione. In tal caso, dovranno essere rispettate le previsioni del Codice della Navigazione riportate in nota;
- se invece il concessionario ha voluto trasferire solo il godimento dei singoli beni oggetto della concessione, si dovrà ulteriormente distinguere:
b1) contratto di deposito nel caso in cui il concessionario assuma principalmente un obbligo di custodia e di riconsegna dell’unità da diporto;
b2) contratto di locazione, quando le parti abbiano limitato i diritti ed i relativi obblighi alla messa a disposizione delle strutture e alla loro utilizzazione al solo fine dell’ormeggio delle imbarcazioni stesse;
b3) contratto misto, quando le parti hanno previsto clausole negoziali riconducibili sia al contratto di deposito che al contratto di locazione.
Da quanto sopra esposto, non si può far a meno di evidenziare il collegamento genetico tra il diritto attribuito al terzo avente causa e la concessione amministrativa, in forza della quale il concessionario ha potuto disporre del bene demaniale. In tal senso, sebbene il rapporto tra il concessionario e il terzo avente causa sia regolato dal diritto privato, l’autorità concedente non sarà tenuta a rispettare le posizione giuridiche sorte in base a tali negozi di diritto privato e assumerà una posizione di sostanziale indifferenza rispetto ad esse.
Nella pratica ciò si riduce ad un necessario assoggettamento del diritto del terzo acquirente alle ipotesi di cessazione fisiologica e patologica della concessione amministrativa, tra cui la scadenza del termine e l’eventuale revoca.
Per quanto attiene l’atto da stipulare per l’acquisto del “posto barca”, esso generalmente sarà un atto pubblico o una scrittura privata autenticata tra il concessionario della struttura portuale e il terzo acquirente.
Va rilevato, però, che alcune Marine sono disciplinate in base alle regole proprie delle società per azioni. In tal caso, il diritto all’utilizzo del “posto barca” sarà incorporato in un certificato azionario rappresentativo di un certo numero di azioni della società concessionaria. Conseguentemente, la circolazione avverrà tramite la girata azionaria effettuata dinanzi un Notaio, e il terzo acquirente giratario, oltre ad acquisire la qualifica di socio, sarà tenuto al rispetto del “Regolamento della Marina” predisposto dalla società.
In conclusione, si rende sempre necessario usare la massima attenzione nell'acquisto di un posto barca, soprattutto se l’utilizzo concesso è prolungato nel tempo, considerata la natura demaniale dei beni di che trattasi. In particolar modo sarà indispensabile avvalersi della consulenza del Notaio al fine di perfezionare il relativo atto notarile che dovrà necessariamente assumere la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, ovvero della girata azionaria nei casi sopra precisati.
[[1]] Incompatibilità ribadita più volte dalla Corte di Cassazione (ex multis, Cass. SS.UU. n. 253/2021, Cass. Civ. Sez. II, n. 26877/2019, Cass. SS.UU. n. 26036/2013).
[2] L’art. 46 del Codice della Navigazione prevede: 1. Quando il concessionario intende sostituire altri nel godimento della concessione deve chiedere l'autorizzazione dell’autorità concedente. 2. In caso di vendita o di esecuzione forzata, l’acquirente o l’aggiudicatario di opere o impianti costruiti dal concessionario su beni demaniali non può subentrare nella concessione senza l’autorizzazione dell’autorità concedente. 3. In caso di morte del concessionario gli eredi subentrano nel godimento della concessione, ma devono chiederne la conferma entro sei mesi, sotto pena di decadenza. Se, per ragioni attinenti all’idoneità tecnica od economica degli eredi, l’amministrazione non ritiene opportuno confermare la concessione, si applicano le norme relative alla revoca.
L’art. 30 del Regolamento per l’esecuzione del Codice della Navigazione prevede: 1. Il concessionario deve esercitare direttamente la concessione. 2. L' autorizzazione a sostituire altri nel godimento della concessione, a norma dell' articolo 46 del codice, è data dall' autorità che ha approvato la concessione e relativo atto è rilasciato dal capo del compartimento. 3. Qualora l' amministrazione, in caso di vendita o di esecuzione forzata, non intenda autorizzare il subingresso dell' acquirente o dell' aggiudicatario nella concessione, si applicano in caso di vendita le disposizioni sulla decadenza e in caso di esecuzione forzata le disposizioni sulla revoca.
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