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Convegno Capri 7-8 giugno 2024. Le varie tipologie di donazioni: profili applicativi e soluzioni pratiche

  • 02/07/2024

Donazione remuneratoria.

Art. 770 c.c. - “È donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione. Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi.”

La donazione remuneratoria rappresenta un’ipotesi speciale della donazione, che ha come fondamento una rimunerazione di carattere speciale, che non è riconducibile ad una consuetudine. Si tratta, quindi, di una vera e propria donazione che, a differenza di quanto accade di regola, ha come elemento essenziale del negozio un motivo remuneratorio. L'articolo 770, comma 1, del c.c. prevede tre motivi che possono far sì che la fattispecie sia interpretata come donazione remuneratoria: (i) la donazione per riconoscenza verso il donatario (per esempio perché quest’ultimo ha attuato una condotta di particolare cortesia verso il donante), (ii) la donazione per i meriti del donatario (per esempio perché il donatario ha superato un concorso pubblico di particolare difficoltà) e la (iii) donazione per speciale rimunerazione (si

pensi per esempio all’avvocato che ha determinato un'assoluzione dell'imputato). La giurisprudenza precisa sul punto che la donazione remuneratoria si caratterizza proprio per il motivo dell’attribuzione patrimoniale ed in ogni caso è necessario che l’attribuzione non cessi di essere spontanea e l’atto conservi la causa di liberalità (Cass. n. 12796/1999).

Alla donazione remuneratoria si applica la disciplina generale della donazione e una disciplina speciale prevista dagli artt. 797 n. 3 c.c. (garanzia per evizione), 805 c.c. (revocazione) e 437 c.c. (obbligo alimentare). È inoltre soggetta alla disciplina della collazione e della riduzione, poiché condivide requisiti e forma con la donazione "pura". Secondo la dottrina, la donazione remuneratoria è considerata anche soggetta alla riunione fittizia in virtù del rinvio contenuto nell'art. 809 c.c., che esclude solamente le liberalità previste dal secondo comma dell'art. 770 c.c. Questo orientamento viene condiviso anche dalla giurisprudenza (Cass. n. 41480/2021).

Come già accennato alla donazione remuneratoria si affianca una disciplina speciale. In assenza di deroghe espresse dalla disciplina speciale si applica la disciplina ordinaria della donazione (Cass. n. 20387/2008).

Una prima deroga alla disciplina generale è prevista nell'ambito della responsabilità del donante per evizione. La displica generale della donazione prevede, infatti, il principio generale dell’irresponsabilità del donante per evizione, ispirato dall'indole intrinsecamente liberale del contratto di donazione, salvo patto contrario. Il comma 2, n. 3

dell’art. 797 c.c., prevede un'eccezione di tale principio per la donazione remuneratoria. Il donante è tenuto a prestare garanzia fino alla concorrenza dell’entità della prestazione effettuate al donatario. Questa eccezione viene giustificata dal fatto che la donazione remuneratoria costituisce quasi un “compenso” per la prestazione o il servizio reso dal donatario. Nessuna eccezione alla disciplina generale è invece prevista per la garanzia dei vizi ai sensi dell’art. 798 c.c.

Una seconda deroga alla disciplina speciale è prevista dall’art. 437 c.c. La disciplina generale prevede che il donatario è tenuto a prestare gli alimenti con precedenza ad ogni altro obbligato. La ratio per la deroga espressa è anche in questo caso che l’arricchimento non è avvenuto meramente per spirito di liberalità, ma a seguito di un comportamento precedente del destinatario.

Infine, l’art. 805 c.c. dispone espressamente che non possono revocarsi per causa d’ingratitudine, né per sopravvivenza di figli le donazioni remuneratorie. La giurisprudenza sostiene che per le donazioni remuneratorie l'irrevocabilità sarebbe giustificata dal particolare motivo che ha indotto il donante al compimento della liberalità (C. 7170/1983). La dottrina, si è posta, però, l'interrogativo se considerare irrevocabili tutte le ipotesi di donazione remuneratoria di cui all' art. 770, 1° co. c.c., oppure se sia opportuno limitare l'irrevocabilità ad alcune ipotesi. Secondo la dottrina maggioritaria il dato testuale dell'art. 770 c.c. non lascia spazio ad una distinzione fondata sul motivo che ha determinato il donante alla liberalità. Una dottrina minoritaria, invece, considera necessario limitare l'irrevocabilità alla sola donazione per

speciale remunerazione, escludendo quella per riconoscenza o per meriti del donatario basandosi su una lettura restrittiva dell’art. 770 c.c.

Come accennato la donazione remuneratoria è connotata dallo spirito di liberalità, al quale si aggiunge semplicemente, penetrando nella causa del contratto, il motivo che spinge il donante ad arricchire il donatario. Al contrario, per le liberalità d’uso previste dall'art. 770 co. 2 c.c. la giurisprudenza ritiene che occorra, da un lato, che l'attribuzione venga effettuata in funzione di un corrispettivo o in adempimento di un'obbligazione derivante dalla legge ovvero in osservanza di un dovere nascente dalle comuni norme morali e sociali e, dall'altro, che sussista una qual certa equivalenza economica fra il suo valore e quello dei servizi ricevuti dal disponente (Cass. n. 41480/2021).

La donazione remuneratoria va anche tenuta distinta dall’adempimento di un'obbligazione naturale, poiché quest'ultima è caratterizzata da un “animus solvendi” e non da un “animus donandi”. Di recente, la giurisprudenza ha ribadito la necessità di una doppia verifica per accertare che si tratti di un'obbligazione naturale e non di una donazione remuneratoria: “in primis” si deve accertare se ricorra o meno un dovere morale o sociale e “in secundis” se questo dovere morale è stato adempiuto con una prestazione che ha carattere di proporzionalità e adeguatezza in relazione alle circostanze del caso (C. 19578/2016; T. Torino, 20.1.2021).

Questo “discrimen” può avere una rilevanza pratica soprattutto nella prestazione a favore del convivente “more uxorio”: in passato, la Cassazione considerava tali attribuzioni come donazioni

remuneratorie, con la conseguente applicabilità della disciplina generale delle donazioni. Il più recente orientamento sostiene invece che le attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convivente more uxorio non giustificano, ex se, la sussistenza “dell’animus donandi”. Nel caso concreto la Suprema Corte ha affermato che il maggior contributo, fornito da uno dei conviventi “more uxorio” nell’acquisto di un immobile comune, possa considerarsi effettuato per spirito di liberalità, soltanto se si accerta l’”animus donandi” anche mediante presunzioni. In altri termini, le prestazioni a favore del convivente “more uxorio” sono solo soggette alla disciplina della donazione quando caratterizzate dall’”animus donandi” rigorosamente provato.

2. Donazione di somma di denaro e modico valore.

Art. 782 c.c. -” La donazione deve essere fatta per atto pubblico sotto pena di nullità. Se ha per oggetto cose mobili, essa non è valida che per quelle specificate con indicazione del loro valore nell'atto medesimo della donazione, ovvero in una nota a parte sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio. L'accettazione può essere fatta nell'atto stesso o con atto pubblico posteriore. In questo caso la donazione non è perfetta se non dal momento in cui l'atto di accettazione è notificato al donante. Prima che la donazione sia perfetta, tanto il donante quanto il donatario possono revocare la loro dichiarazione”.

Art. 783 c.c. - “La donazione di modico valore che ha per oggetto beni mobili è valida anche se manca l'atto pubblico, purché vi sia stata la tradizione. La modicità deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante”.

Una grande rilevanza nella prassi hanno le donazioni di una somma di denaro. Va subito precisato che, attualmente, la donazione di una somma di denaro può essere effettuata anche in contanti fino ad un limite di 5.000 euro. Tuttavia, per importi superiori, è obbligatorio ricorrere a strumenti di trasferimento tracciabili, al fine di garantire la trasparenza delle transazioni finanziarie.

Un punto di frizione rimane la donazione di una somma di denaro in relazione alla donazione di modico valore (art. 783 c.c.). La donazione di modico valore, a differenza di una donazione “di valore elevato”, non richiede il formalismo dell’atto pubblico, ma è valida con la semplice consegna della cosa. Questo elemento della necessaria consegna del bene induce a collocarla nell’ambito dei contratti reali.

Per determinare se il bene donato rientri nella categoria della modicità, la giurisprudenza utilizza un doppio criterio di valutazione: uno obiettivo, correlato al valore e la natura del bene (non si potrebbe mai parlare di modico valore se l'oggetto della donazione è un immobile), e uno soggettivo per il quale si tiene conto delle condizioni economiche del donante (v. Cass. 17.02.2020, n. 3858).

Si tratta ovviamente un concetto "variabile" che deve essere valutato caso per caso. Pertanto, si tratta di una valutazione discrezionale del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata (Cass. 3858/2020). Questa relazione tra valore e patrimonio come criterio della giurisprudenza viene criticato dalla dottrina, poiché anche una donazione oggettivamente di scarso valore non può essere considerata modica quando il donante sia di modeste condizioni.

In conseguenza, quando la somma donata supera il criterio di modicità, è necessario ricorrere alla forma solenne previsto dall’art. 782 c.c. Da ultimo, la Suprema Corte ha rilevato come sia nullo per difetto di forma anche l'atto di donazione di beni immobili inserito in un verbale di conciliazione giudiziale (Cass. 2360/2024). Sul punto si ricorda anche che la sentenza delle Sezioni Unite n. 18725/2017 ha chiarito che il trasferimento di strumenti finanziari dal conto deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario, non costituisce una donazione indiretta. Piuttosto, si tratta di una donazione diretta ad esecuzione indiretta. In conseguenza, affinché il trasferimento sia valido è necessario ricorrere alla formalità dell’atto pubblico, a meno che si tratti di una donazione di modico valore.

Con la sentenza della sezione Tributaria n. 7442 del 20 marzo 2024, la Corte Suprema ha determinato che il trasferimento di denaro tramite bonifico bancario non soddisfa i requisiti formali richiesti dalla legge, e quindi non è soggetto all'imposta sulle donazioni, a meno che non rientri nelle eccezioni previste per le donazioni di valore modico. In

concreto i giudici tributari hanno stabilito che l’ordine di bonifico ha natura di negozio giuridico unilaterale, la cui efficacia vincolante scaturisce da una dichiarazione della banca con cui si obbliga ad eseguire i futuri incarichi conferiti dal cliente. L’incarico assume quindi la natura di delegazione di pagamento. Questo potrebbe sollevare qualche dubbio sulla decisione delle Sezioni Unite sopra richiamata. Si precisa però che in questo caso la fattispecie è stata analizzata sotto il profilo del diritto tributario. Da ciò si può dedurre che l’inosservanza della forma pubblica richiesta dall’art. 782 c. c. e la relativa sanzione della nullità, ha rilevanza esclusivamente sul piano civilistico, ma non ha conseguenze sul piano tributario.

In linea di massima si può affermare che le c.d. “donazioni informali” sono soggette a tassazione solo se dichiarate dal contribuente in caso di accertamento tributario. L'amministrazione finanziaria può accertare le liberalità indirette, ai sensi dell’art. 56 T.U. delle successioni e donazioni, solo se ricorrono due requisiti:

i) vengono registrate volontariamente oppure il contribuente “confessa” volontariamente nell'ambito di un procedimento di accertamento tributario (volontary disclosure);

ii) devono aver determinato un incremento patrimoniale superiore ad un milione di euro, da solo o in combinazione con altre donazioni allo stesso beneficiario.

Per quanto riguarda le donazioni indirette, la sentenza in oggetto chiarisce che non scatta l’imposta di donazione in tutti i casi in cui un atto soggetto a registrazione riveli un negozio che potrebbe essere

anche pattuito a titolo di donazione, ma non è espressamente qualificato come tale (per esempio la delegazione di pagamento, accollo, adempimento del terzo, ecc..). In altre parole: se la causa donativa non emerge chiaramente dall’atto, questo non è soggetto ad imposta di donazione.

3. Donazione con riserva di disporre di cose determinate.

Art. 790 c.c. – “Quando il donante si è riservata la facoltà di disporre di qualche oggetto compreso nella donazione o di una determinata somma sui beni donati, e muore senza averne disposto, tale facoltà non può essere esercitata dagli eredi.”

La donazione con riserva di disporre è sicuramente un argomento che genera divergenze interpretative e dibattiti accesi tra gli studiosi del diritto, anche dovuto a una giurisprudenza quasi inesistente. Il codice del 1865 permetteva agli eredi del donante riservatario di acquisire i beni non disposti in vita dal donante. Nel codice vigente questa possibilità è perclusa agli eredi e con la morte del donante i beni entrano definitamente nel patrimonio del donatario e dei suoi eventuali eredi. Nonostante questo cambiamento normativo la fattispecie rappresenta una deroga al principio generale della irrevocabilità della donazione.

L’art. 790 c.c. unisce in sé due ipotesi di riserva che il donante può prevedere nell’atto di donazione.

(i) La prima è quando il donante si è riservata la facoltà di disporre di qualche oggetto compreso nella donazione. Sul punto si ricorda che la

riserva non può riguardare l'intero oggetto della donazione, poiché questa previsione costituirebbe un negozio in frode alla legge; in tal modo, infatti, verrebbe violato il principio generale della irrevocabilità della donazione, con la conseguenza che il negozio giuridico sarebbe nullo e privo di effetti. La dottrina maggioritaria qualifica la riserva di disporre di qualche oggetto come una donazione sottoposta a condizione risolutiva meramente potestativa eccezionalmente valida.

La teoria della condizione risolutiva ha creato qualche dubbio in dottrina nel caso in cui la riserva venga effettuata a favore di un terzo. Poiché la condizione risolutiva opera retroattivamente sarebbe difficile ipotizzare che il donante, che esercita la riserva, possa disporre direttamente a favore di un terzo. Per sciogliere questo nodo gordiano, parte della dottrina ipotizza un duplice trasferimento: il primo dal donatario al donante, che ha esercitato la riserva, e il secondo dal donante al terzo beneficiario.

In conclusione, si può affermare che l’art. 790 c.c. prevede un limite qualitativo e quantitativo nel caso di riserva di disporre di qualche bene. Il limite qualitativo stabilisce che la riserva può riguardare solo oggetti della donazione, mentre il limite quantitativo determina che la riserva può coprire solo una parte dei beni donati.

(ii) La seconda ipotesi prevista dall’art. 790 c.c. prevede la facoltà per il donante di disporre di una determinata somma. Questa ipotesi viene qualificato dalla dottrina maggioritaria come un onere in capo al donatario, sottoposto alla condizione sospensiva meramente potestativa, eccezionalmente valida. Fondamento di questa

interpretazione è soprattutto la natura fungibile della somma che è oggetto della riserva. Per altra parte della dottrina, la riserva è caratterizzata anche in tal caso dal limite quantitativo ex art. 790 c.c., ne consegue che la somma oggetto di riserva non potrà esaurire l’intero valore della donazione. Se invece la figura venisse qualificata come una donazione modale non si potrebbe parlare di limite quantitativo, poiché il modus potrebbe assorbire tutto il valore della donazione ex art. 793 c.c.

In pratica, la riserva di disporre è uno strumento per consentire al donante di controllare i comportamenti del beneficiario. La dottrina tradizionale trovava il fondamento di entrambe figure nella tutela degli interessi del donante, ma la dottrina più moderna riqualifica questo concetto, come possibilità di rivalutare gli interessi del donante in base alle esigenze che si presenteranno successivamente. In sostanza, la dottrina propone una reinterpretazione della riserva di disporre, vedendola come uno strumento per il donante per realizzare il proprio programma negoziale e proteggere i propri interessi anche in situazioni future.

In particolare, si è sottolineato che gli obiettivi simili alla donazione con riserva di disporre potrebbero essere raggiunti senza i problemi evidenziati in termini di natura giuridica e applicazione pratica, attraverso il contratto di affidamento fiduciario come previsto dalla legge 22 giugno 2016, n. 112, relativa all'assistenza alle persone disabili, ma non ancora tipizzato come figura generale.

La donazione con riserva di disporre può essere anche uno strumento pratico per evitare i noti problemi della provenienza donativa degli immobili. In sostanza si potrebbe affiancare alla donazione dell’immobile una somma di denaro (anche modesta) con una forma di pagamento che ne consentirebbe la tracciabilità e ne garantirebbe un collegamento con la donazione dell’immobile. Questo consentirebbe al donante di riservarsi il diritto di disporre dell'immobile a favore di un terzo, mantenendo allo stesso tempo la stabilità e l'irreversibilità della donazione per quanto riguarda la somma di denaro. In altri termini, il donante manterrebbe il controllo sull'immobile donato, anche se formalmente il donatario ne diventerebbe il proprietario. Questa comporterebbe un duplice vantaggio: da un lato, permetterebbe al donante di vendere l'immobile per esempio ad un terzo, ottenendo il pagamento del prezzo, e, dall'altro, consentirebbe al donante di annotare nei registri immobiliari la risoluzione della donazione, riappropriandosi così del valore economico dell'immobile senza dover passare attraverso il donatario. In altre parole, il donante potrebbe annullare retroattivamente la provenienza donativa dell'immobile, usando la deroga espressa del codice al principio dell’irrevocabilità delle donazioni.

Come già accennato la facoltà di disporre viene generalmente configurata come diritto potestativo a carattere personale, recettizio e formale. Da questa natura personale parte della dottrina deduce che non siano legittimati oltre agli eredi, i creditori del donante in via surrogatoria.

Clausola:

Articolo 1 -Consenso ed oggetto-

Il Signor Tizio salva la riserva di cui in seguito all’art. 2 (due), dichiara di donare, come dona, al Signor Tizietto, che con animo grato accetta il diritto di piena ed esclusiva proprietà dei seguenti immobili (descrizione confini e dati catastali dei due immobili).

Articolo 2 -Riserva di disporre-

Il donante, si riserva, su una parte dei beni oggetto della presente donazione, e precisamente sull’immobile situato in...(descrizione), il diritto di disporre, ai sensi dell’art. 790 c.c.

L’esercizio della riserva mediante il diritto potestativo di disporre costituirà avveramento della condizione risolutiva del presente atto limitatamente all’oggetto della riserva.

4. Condizione di reversibilità ed effetti. Art. 791 c.c.- “Il donante può stipulare la riversibilità delle cose donate, sia per il caso di premorienza del solo donatario, sia per il caso di preminenza del donatario e dei suoi discendenti.

Nel caso in cui la donazione è fatta con generica indicazione della riversibilità, questa riguarda la premorienza, non solo del donatario, ma anche dei suoi discendenti.

Non si fa luogo a riversibilità che a beneficio del solo donante. Il patto a favore di altri si considera non apposto.”

Art. 792 c.c. – “Il patto di riversibilità produce l'effetto di risolvere tutte le alienazioni dei beni donati e di farli ritornare al donante liberi da ogni peso o ipoteca, ad eccezione dell'ipoteca iscritta a garanzia della dote o di altre convenzioni matrimoniali, quando gli altri beni del coniuge donatario non sono sufficienti, e nel caso soltanto in cui la donazione è stata fatta con lo stesso contratto matrimoniale da cui l'ipoteca risulta. È valido il patto per cui la riversione non deve pregiudicare la quota di riserva spettante al coniuge superstite sul patrimonio del donatario, compresi in esso i beni donati”.

Meno dubbi sussistono circa la natura giuridica della condizione di reversibilità previsto dagli artt. 791 e 792 c.c. Questo istituto, spesso trascurato nel nostro ordinamento, trova le sue origini nel diritto romano e nella legislazione francese del periodo rivoluzionario. Mentre i suoi predecessori storici prevedevano una riversibilità legale, il nostro codice prevede che la riversibilità della donazione può esser stabilita unicamente dalle parti in via convenzionale. A prescindere dalle ragioni storiche, la dottrina giustifica l’istituto considerando che il donante può voler beneficiare il donatario ed eventualmente i suoi discendenti, ma

non i soggetti che gli stessi potrebbero indicare nel loro testamento, o che fossero chiamati a succedere in base alle norme della successione legittima.

Con suddetto patto il donante può stabilire che i beni donati tornino al donante nel caso di premorienza del donatario o anche dei suoi discendenti. La dottrina quasi unanime e la giurisprudenza qualificano la condizione di reversibilità come condizione risolutiva, con conseguente applicabilità della disciplina artt. 1353 ss. c.c. A differenza della riserva di disporre di cose determinate (che secondo parte della dottrina è anche una fattispecie di condizione risolutiva), l’art. 791 c.c. non prevede un limite quantitativo e qualitativo. In conseguenza il patto può comprendere l'intero oggetto della donazione, così come può essere limitata ad una parte di essa o ad una sua quota.

La norma precisa che nel caso in cui la donazione è fatta con generica indicazione della reversibilità, questa riguarda la premorienza, non solo del donatario, ma anche dei suoi discendenti. Secondo la dottrina nulla impedisce che il donante indichi soltanto alcuni dei discendenti stessi. Il donate può anche prevedere che la reversibilità operi solo contro una specifica persona (un discendente o il coniuge). La giurisprudenza di merito ha accertato la responsabilità omissiva del notaio per non aver informato il donante sull'opportunità di includere tale patto nella donazione (Trib. Belluno 9 maggio 2007).

Si ricorda a questo punto che la riversibilità può avere luogo solo a favore del donante. Per trasferire i beni ad un altro soggetto, è

necessario che il donante effettui una nuova e separata donazione al terzo. Questo divieto di riversibilità a favore di terzi viene giustificato in relazione al divieto dei patti successori.

In merito agli effetti previsti dall'articolo 792 c.c., si osserva che la riversibilità provoca una risoluzione ex tunc che agisce ipso jure e determina l'inefficacia delle eventuali disposizioni successive dei beni donati (art. 1357 c.c.). Ciò comporta la restituzione dei beni al donante, libero da ogni peso, vincolo o ipoteca, salvo che le parti abbiano stabilito che non sia pregiudicata la quota di legittima spettante al coniuge del donatario. In altre parole, l’avveramento della condizione di riversibilità produce l’effetto di travolgere tutte le alienazioni dei beni donati medio tempore. Di conseguenza, il bene donato ritorna automaticamente nel patrimonio del donante, consentendogli di esercitare l'azione di rivendicazione senza alcun limite di prescrizione.

Si discute in dottrina se terzi acquirenti possono far salvo il loro acquisto immobiliare invocando l’usucapione decennale. In dottrina prevale la tesi negativa considerando che quando si verifica la condizione risolutiva con effetto retroattivo, non esistite più il titolo astrattamente idoneo richiesto dall’art. 1159 c.c. Si precisa altresì che quando il patto di reversibilità risulta da atto pubblico trascritto nei registri immobiliari non si potrebbe mai parlare di buona fede del terzo acquirente, requisito ulteriormente richiesto dall’art. 1159 c.c. Nulla osta invece l’eccezione di usucapione ordinaria o, in caso di beni mobili, la applicazione della regola “possesso vale titolo”.

Come già accennato la clausola di reversibilità ha natura reale, ma l'autonomia privata consente anche la pattuizione di una clausola di reversibilità obbligatoria che ha efficacia solo tra le parti. In quest’ultima ipotesi spetta al donante solo un’azione personale, contro il donatario e i suoi eredi, che è assoggettata alla prescrizione ordinaria. Questa clausola di reversibilità obbligatoria può essere apposta senza problemi anche in un momento successivo, poiché l’apposizione comporta esclusivamente una efficacia inter partes della condizione. Maggior problemi comporta invece una successiva introduzione della clausola di reversibilità ad effetto reale. In questo caso, seguendo il principio generale dell’art. 1372 c.c. gli autori di un negozio non possono pregiudicare la sfera giuridica dei terzi. L’efficacia reale della condizione non è quindi opponibile ai terzi che hanno trascritto medio tempore i loro acquisti sui beni che formano oggetto della donazione. Questo principio vale anche per eventuali pesi o iscrizioni pregiudizievoli.

Per rendere pubblica l'apposizione successiva della condizione, parte della dottrina ha suggerito che, essendo già stata eseguita la trascrizione, l’unica soluzione sarebbe l’annotazione del successivo atto. Questa pratica non è prevista espressamente, ma potrebbe essere ammissibile in base a un'interpretazione sistematica del principio di tassatività dei casi di pubblicità, che consente di segnalare le modifiche alle situazioni già pubblicizzate.

Dal punto di vista fiscale, la donazione con condizione di reversibilità è soggetta all'imposta sulle successioni e donazioni secondo le aliquote e le franchigie stabilite dal Testo unico sulle successioni e donazioni in base al grado di parentela o affinità tra donante e donatario. Tuttavia, se la condizione di reversibilità si verifica, viene applicata l'imposta di registro in misura fissa secondo l'art. 28 del DPR n. 131 del 1986.

5. Donazione Modale.

Art. 793 c.c. - “La donazione può essere gravata da un onere. Il donatario è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata.

Per l'adempimento dell'onere può agire, oltre il donante, qualsiasi interessato, anche durante la vita del donante stesso.

La risoluzione per inadempimento dell'onere, se preveduta nell'atto di donazione, può essere domandata dal donante o dai suoi eredi.”

Il legislatore consente l’apposizione di un onere a carico del beneficiario di una donazione. Questo modo donativo viene espressamente previsto dagli articoli 793-794 del Codice civile e coincide, da un punto di vista definitorio, con l’onere del negozio testamentario. Con l’apposizione di un onere il donante costituisce un peso a carico del donatario che può consistere sia nell’erogazione, di tutto o una parte, del bene donato per un dato scopo, sia nel compimento di un’azione a favore del donante o di un terzo. Il donatario è, quindi, soggetto passivo di un rapporto obbligatorio,

poiché il modo donativo entra nell’ampia formula dell’art. 1173 c.c. indipendentemente dal fatto che sia qualificato come negozio autonomo o elemento accessorio. Infatti, la dottrina tradizionale qualifica la natura giuridica dell’onere come un elemento accessorio nel senso che l’onere rappresenta una volontà subordinata alla volontà principale diretta alla produzione dell’effetto giuridico della donazione. La dottrina maggioritaria più moderna, invece, qualifica la natura giuridica del modo donativo come negozio autonomo, facendo riferimento alle disposizioni in materia di accrescimento (cfr. art. 773 c.c.): nel caso di una pluralità di donatari non si tratta di un'unica donazione, ma tante proposte di donazioni quanti sono i donatari. Se uno dei donatari non accetta la donazione, l’onere deve essere adempiuto integralmente dal donatario che accetta. In altri termini, il modus donativo ha natura di negozio autonomo, ancorché collegato alla donazione stessa, poiché è idoneo a trasferirsi a carico di un solo donatario.

Come per il negozio testamentario si considera non apposta l’onere illecito o impossibile, ma se ne ha costituito il solo motivo determinante rende nulla la donazione (cfr. art. 794 c.c.) Tuttavia, nell’ambito dell’impossibilità, la nullità si estende solo all’ipotesi dell’impossibilità originaria e non all’impossibilità sopravvenuta. In questo secondo caso il donatario onerato è liberato dall’obbligazione nascente dal “modus donandi”. La ragione di ciò risiede nel fatto che il concetto di nullità nel nostro ordinamento attiene solo al momento genetico del negozio giuridico e mai a quello funzionale.

Il contenuto dell’onere può essere il più ampio, consentito dall’ordinamento, dato che si tratta di un rapporto obbligatorio in senso tecnico. In conseguenza il modus donativo può consistere in un dare, un fare od anche in un non fare a favore del donante, del donatario stesso, o di terzi. Qualora il donatario onerato non adempia, il donante e qualsiasi interessato possono chiedere l’adempimento ai sensi dell’art. 793, comma 3, c.c. Una parte della dottrina interpreta “qualsiasi interessato” in senso letterale, nel senso che ogni soggetto, anche con un interesse meramente morale, può chiedere l’adempimento dell’onere. Altra parte della dottrina consente ai terzi interessati di chiedere l’adempimento solo nel caso in cui i beneficiari siano persone indeterminate. Se la prestazione da parte del donatario supera il valore della donazione stessa, è tenuto all’adempimento solo nei limiti del valore della cosa donata (cfr. art. 793 c.c.). Nel caso in cui determinati eventi incidano sul rapporto originario tra valore dell’oggetto della donazione e valore dell’oggetto dell’onere, si ritiene che il momento temporale da prendere in considerazione sia quello dell’esecuzione dell’onere. Lo stesso articolo 793 ultimo comma, c.c. prevede anche la possibilità della risoluzione della donazione, per inadempimento dell’onere, se previsto con apposita clausola. Il mero fatto che l’onere abbia costituito motivo determinante per la donazione, senza espressa previsione della clausola, non comporta la automatica risoluzione della donazione. Infine, la clausola di risoluzione non opera nel caso di impossibilità sopravvenuta, poiché quest’ultima comporta l'estinzione dell'obbligazione modale. Di conseguenza la donazione resta pienamente valida ed efficace come donazione “pura”.

Come già accennato, il beneficiario dell’onere può essere anche un terzo. La dottrina discute quale sia la natura giuridica di questa figura. Prevale la tesi che ritiene che si tratta di una donazione indiretta, con la conseguenza che trova applicazione l’art. 809 c.c. e, in particolare, la disciplina della revocazione per ingratitudine e sopravvivenza dei figli.

Di recente la Corte di cassazione (Cassazione, 4 aprile 2024, n. 8875) ha precisato che la donazione modale a favore di un terzo beneficiario può costituire una donazione indiretta se il modus è caratterizzato dallo spirito di liberalità da parte del donante verso il terzo. Nella fattispecie presa in considerazione dalla Suprema corte la madre donava una farmacia al figlio, richiedendogli di pagare al padre 500.000 euro in 10 rate annuali. La Corte sottolineava che l'intenzione donativa della madre a favore del proprio coniuge emergeva chiaramente dall'atto e pertanto qualificava l'attribuzione come liberalità indiretta. Di conseguenza l’aliquota e la franchigia per l’imposta di donazione devono essere calcolati in base al rapporto di parentela tra donante e terzo beneficiario dell’onere.

6. Donazione con riserva di usufrutto; usufrutto congiuntivo e successivo.

Art. 796 c.c. – “È permesso al donante di riservare l'usufrutto dei beni donati a proprio vantaggio, e dopo di lui a vantaggio di un'altra persona o anche di più persone, ma non successivamente.”

L’art. 796 c.c. stabilisce che è permesso al donante di riservare il diritto di usufrutto dei beni donati a proprio vantaggio e dopo di lui, a vantaggio di un’altra persona o anche più persone, ma non successivamente. La teoria prevalente in dottrina e giurisprudenza costante è che la fattispecie dell’articolo 796 c.c. dia luogo ad un negozio unico con due vicende (una traslativa ed una costitutiva) di diritti reali. La prima è traslativa della nuda proprietà, la seconda costitutiva del diritto di usufrutto. Questa ricostruzione è anche utile da un punto di vista pratico: le parti non devono pagare una doppia imposta di trasferimento, e la trascrizione è unica.

Dopo la morte del donante, seguendo le norme generali, il donatario, o i suoi eredi e aventi causa - diventeranno pieni proprietari poiché il diritto di usufrutto si estinguerà. Inoltre, la ricostruzione prospettata consente di considerare ammissibile una donazione con riserva anche a favore di un minore. Qualora si segua la dottrina minoritaria che considera la fattispecie come un doppio negozio - il primo riguardante la donazione del diritto di proprietà e il secondo in cui il donatario costituisce il diritto di usufrutto sul bene ricevuto a favore del donante - questo non sarebbe possibile, poiché il minore non potrebbe validamente donare l'usufrutto.

Per quanto riguarda gli obblighi del donante la giurisprudenza più recente stabilisce che la deduzione per migliorie e spese ex

art. 748 c.c., spetta anche al donatario nudo proprietario che provi di aver migliorato il bene donatogli dal de cuius con riserva di usufrutto. Altrimenti i coeredi non donatari, potrebbero ricevere un indebito arricchimento a seguito delle spese effettuate dal nudo proprietario, ottenendo la collazione di beni di valore superiore a quelli donati (Cass. 29247/2020). La giurisprudenza precisa, inoltre, che alla morte del donante, la donazione con riserva di usufrutto deve essere calcolata come donazione in piena proprietà, riferendone il valore al tempo dell'apertura della successione (Cass. 14747/2016).

Come detto, l’art 796 c.c. prevede espressamente che il donante riserva l’usufrutto, dopo di lui, a vantaggio di un’altra persona o anche più persone nell'atto di donazione. Questa fattispecie include anche il caso in cui il donante riservi direttamente l'usufrutto ad un terzo.

La natura giuridica di questa fattispecie è stata oggetto di dibattito in dottrina. Un orientamento minoritario la considera come un contratto a favore di terzo, dove il donatario riceve la nuda proprietà e si impegna a trasferire l'usufrutto a un beneficiario al momento della morte del donante. Tuttavia, l'opinione prevalente la interpreta come due donazioni separate: una che conferisce la nuda proprietà con riserva dell'usufrutto al donante e un'altra che trasferisce l'usufrutto dopo la sua morte. La giurisprudenza estende questo divieto di usufrutto successivo anche ai diritti reali minori di uso e abitazione. In conseguenza si configura una donazione di nuda proprietà e contestualmente una

proposta di donazione di usufrutto. Tale proposta, peraltro, dovrebbe considerarsi sottoposta alla condizione sospensiva della premorienza del donante rispetto al terzo. Ne consegue che la mancata accettazione del terzo rende la donazione di usufrutto improduttiva di effetti e, alla morte del donante, la proprietà si consolida in capo ai titolari della nuda proprietà. Sul punto si ricorda che la giurisprudenza ritiene che nel caso di accettazione con atto pubblico posteriore, questa deve essere notificata al donante (Cass. 7444/2019). Si ricorda anche che l’atto risulta nullo quando il donante riservi l'usufrutto a persona non determinata, in quanto è inammissibile una proposta di donazione in incertam personam. La giurisprudenza di merito si è espressa su questo punto, evidenziando la responsabilità del notaio ai sensi dell'articolo 28 L.N. per aver stipulato un atto di donazione con riserva di usufrutto a favore del donante e successivamente, a favore di persona da designarsi dal donante nel suo testamento (T. Taranto 9.5.1988).

La più attenta dottrina conclude però che un risultato analogo potrebbe essere raggiunto con una donazione modale che obbliga il donatario di costituire il diritto di usufrutto a favore di persona che sarà successivamente nominata.

La particolarità dell’art. 796 c.c. è che richiama il principio generale del divieto di usufrutto successivo, ma nello stesso tempo prevede un'eccezione. Si ricorda a questo punto che il divieto dell'usufrutto successivo viene collegato dalla dottrina sia al divieto della sostituzione fedecommissaria, finalizzato a evitare un serio ostacolo alla libera circolazione dei beni, e sia alla caratteristica di temporaneità essenziale dell’usufrutto, il quale non può superare la durata di una sola vita umana.

Il donate quindi può costituire un diritto di usufrutto, oltre a favore di lui stesso, a vantaggio di altra persona dopo di lui. È discusso in dottrina se il divieto dell'usufrutto successivo riguarda anche la costituzione di più usufrutti a termine successivo. Prevale la tesi positiva, quando un soggetto vuole raggiungere attraverso il meccanismo dell’usufrutto a termine il risultato effettivo di un usufrutto successivo vietato. Di conseguenza, la donazione potrebbe essere considerata nulla per frode alla legge ove il donate usa il meccanismo dell’usufrutto a termine per costituire un usufrutto successivo.

È anche possibile che il donante si riservi l’usufrutto e dopo di sé ad un altro e nello stesso tempo costituisca un diritto reale di godimento a favore di un terzo come il diritto di uso o abitazione. In questo caso però questo diritto si estingue con la morte dell’ultimo usufruttuario. Non si tratta di una violazione del divieto dell'usufrutto successivo, poiché la costituzione di un altro diritto reale minore, è contestuale e non successivo rispetto all’usufrutto, il quale sorge gravato dal primo. In ogni caso questo rapporto non può pregiudicare la posizione del nudo proprietario; in conseguenza, il diritto reale minore si estingue contestualmente con l’usufrutto per la morte o la scadenza del termine.

Inoltre, sembra essere ammissibile anche il caso nel quale il donante è solamente titolare della nuda proprietà e vorrebbe donare la nuda proprietà riservando però a sé e dopo di lui a favore di un terzo l’usufrutto. Si tratta di una fattispecie che include una doppia condizione sospensiva: la prima è la riserva del donante sottoposta alla condizione sospensiva della premorienza dell'usufruttuario attuale. La seconda riguarda la sopravvivenza del terzo, sia rispetto al primo usufruttuario che al donante. È evidente che il donate in questo caso non costituisce più usufrutti successivi alla propria morte, fattispecie vietata dall’art 796 c.c. Inoltre, il divieto di donazione di beni futuri ex. art. 771 c.c. non viene violato, poiché il donante, titolare della nuda proprietà, è altresì titolare dell’usufrutto a termine iniziale.

Il donante può anche attribuire l’usufrutto congiuntamente a più soggetti. In questo caso, però, il generale principio riprende vigore, con la conseguenza che la clausola di riserva risulta valida solo se prevede un acquisto congiuntivo di usufrutto da parte dei soggetti. Questa riserva può essere accompagnata dalla previsione del diritto di accrescimento. Dottrina e giurisprudenza, quasi unanimi, sottolineano che l'accrescimento, a differenza di quanto accade nell'ambito testamentario, è un fenomeno eccezionale per gli atti tra vivi che deve essere previsto con uno specifico patto. La Suprema Corte precisa anche se il donante ha donato solo la nuda proprietà, riservando l'usufrutto per sé e per il coniuge, con reciproco diritto di accrescimento, la situazione varia a seconda che il coniuge sopravviva o meno al donante fino all'apertura della successione: se il coniuge muore prima dell'apertura della successione del donante, il bene donato è soggetto a collazione per imputazione, secondo il valore della piena proprietà. Se invece il coniuge sopravvive al donante, il donatario sarà obbligato a conferire solo il valore della nuda proprietà al momento dell'apertura della successione (Cass. 18211/2020 e Cass. 28202/2023).

Come già accennato la clausola di accrescimento deve essere prevista espressamente. È anche possibile di concordare la clausola in un momento successivamente però in questo caso è necessario l’intervento del nudo proprietario a base del principio “res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest” (Ciò che è stato negoziato tra alcuni non nuoce e non giova ad altri). Un aspetto complesso di questa tematica è cosa accade se uno dei co-usufruttuari trasferisce la propria quota di usufrutto al nudo proprietario (o viceversa).

L'argomento è oggetto di discussione, tuttavia si può concludere che il trasferimento della quota di usufrutto di un co-usufruttuario al nudo proprietario, secondo l'articolo 1014 c.c., porta all'estinzione definitiva del diritto di usufrutto su quella quota, consolidando l'usufrutto con la nuda proprietà. Questo impedisce l'accrescimento a favore dell'altro co-usufruttuario, differenziandosi da situazioni come rinuncia, morte o il decorso del termine, dove si verifica l'accrescimento. Tuttavia, la validità e l'efficacia del trasferimento devono essere considerate alla luce del principio espresso dall'art. 1372, secondo comma, c.c., che tutela i diritti dei terzi. Pertanto, in assenza del consenso del co-usufruttuario non cedente, il trasferimento deve essere sottoposto a una condizione risolutiva che consente l'accrescimento della quota di usufrutto all'altro co-usufruttuario in caso di premorienza del cedente.

7. Considerazioni generali.

i) Risoluzione per mutuo dissenso:

Ferma la tassatività dei casi di revoca, le parti del contratto di donazione possono svincolarsi dal rapporto con effetto retroattivo, attraverso un atto di mutuo dissenso redatto nelle medesime forme previste dalla donazione stipulata. Infatti, anche se tale facoltà non è espressamente prevista nel Titolo V del Libro II, la si può ricavare dal principio generale enunciato dall’art. 1372 c.c. Parte della dottrina sostiene che la manifestazione del mutuo dissenso non sarebbe altro che un “contrarius actus”, inteso come “contro-donazione”, quindi come negozio che, esteriormente si presenta come un “normale” negozio traslativo a parti invertite rispetto al primo ma che, nella sostanza, mira a demolirne gli effetti. La dottrina prevalente ritiene invece che il mutuo dissenso sia un negozio risolutorio rivolto direttamente a porre nel nulla il negozio precedente e non solo a paralizzarne gli effetti. A differenza del “contrarius actus” il negozio risolutorio ha effetto retroattivo. Anche nell’ipotesi del negozio risolutorio trova comunque applicazione il principio generale dell’art. 1458 comma 2 c.c. secondo il quale la risoluzione non può pregiudicare i diritti già acquistati da terzi; di conseguenza, se il donatario, nel frattempo, ha trasferito ad altri il bene donato, a quest’ultimi non potranno essere opposti gli effetti della risoluzione. Secondo la dottrina notarile (CNN Studio n.52/2014), la donazione può essere risolta anche parzialmente. Ad esempio, se oggetto della donazione sono stati un appartamento ed un terreno, i contraenti potrebbero convenire che la donazione sia risolta per il solo terreno. Una ipotesi particolare è rappresentata dal mutamento del bene che ha costituito oggetto della donazione: si pensi, ad esempio, alla donazione di terreno edificabile; in particolare, poniamo l’ipotesi che il donatario, nell’esercizio del “ius aedificandi”, abbia costruito su una parte del terreno e non intenda disporre del resto; in tal caso, potrebbe essere valida la pattuizione di una risoluzione parziale per mutuo consenso con la quale la porzione inedificata torni in proprietà al donante.

ii) Imposta di donazione e non cumulabilità la base imponibile per l’imposta di successione:

La circolare n. 29/E del 19 ottobre 2023 dell'Agenzia delle Entrate si conforma a una serie di pronunce della Cassazione che comportano l'eliminazione della cumulabilità tra il donato e l'ereditato esclusivamente per determinare l'aliquota progressiva da applicare. In altri termini significa che la imposta di successione viene determinata esclusivamente a base della massa ereditaria ad esclusione delle eventuali donazioni fatte prima della morte. Ad esempio: Tizio dona a favore del figlio Caio un appartamento con il valore di 100.000 €. Dopo due anni, Tizio muore e lascia un’eredità con un valore complessivo di 300.000 €. Prima della circolare la base imponibile per la imposta di successione veniva determinata con il cumulo della donazione, cioè 400.000 (100.000+300.000). Adesso la base imponibile è esclusivamente quella della massa ereditaria (300.000). Ne consegue che la donazione non è inclusa nel calcolo della base imponibile per l'imposta di successione e non ha nessuna rilevanza fiscale in relazione a questa.

iii) Novità giurisprudenziali:

Cass. civ. Sez. V, 20/03/2024, n. 7442:

In tema di imposta sulle donazioni, l'art. 56-bis, comma 1, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, va interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni, ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l'adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall'art. 769 cod. civ., e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, sono accertate e sottoposte ad imposta (con l'aliquota dell'8%) - pur essendo esenti dall'obbligo della registrazione - in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall'interessato nell'ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti (Euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, Euro 100.000 per fratelli e sorelle, Euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap).

Cass. civ. Sez. II, 12/02/2024, n. 3811:

Con tale pronuncia la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Venezia, sostenendo che, in caso di donazione modale, il mero inadempimento dell’onere da parte del donatario non configura di per sé ingiuria grave ai sensi dell’art. 801 c.c. e, conseguentemente, non può essere valutato come elemento sufficiente per fondare la revoca per ingratitudine. Il comportamento del donatario va valutato non solo sotto il profilo oggettivo ma anche nella sua potenzialità offensiva del patrimonio morale donante. Nel caso di specie il donatario non aveva adempiuto all'obbligo di legge di somministrazione degli alimenti al donante, nonché all'obbligo, espressamente pattuito con la donazione modale, di prestargli assistenza nell'abitazione trasferita con l'atto di donazione. Si tratta di comportamenti che, da soli, non esprimono profonda e radicata avversione verso il donante, né un sentimento di disistima delle sue qualità morali, presupposti necessari per la revoca della donazione per ingratitudine.

Cassazione civile sez. II, sentenza 13 dicembre 2023, n. 34858:

La donazione con clausola sospensiva di premorienza (si praemoriar) del donante produce effetti immediati e concerne singoli beni valutati dai contraenti nella loro consistenza ed oggettività al momento del perfezionamento, con conseguente attualità dell'attribuzione la cui efficacia è solo differita alla morte; pertanto, la violazione del divieto dei patti successori può derivare solo dalla persistenza di un residuo potere dispositivo del donante, tale da minare l'irrevocabilità della disposizione e la sua immediata efficacia vincolante, e non dalla maggior o minore probabilità del verificarsi dell'evento condizionante. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte territoriale che aveva escluso la nullità di una donazione di quote societarie con clausola di premorienza del donante realizzata da un soggetto in fase di malattia terminale e al quale restavano solo pochi mesi di vita).

Cassazione Civile, Sent. 6 febbraio 2024, n. 3352:

La disposizione del donante secondo la quale la donazione è eseguita in conto di disponibile con dispensa dall’imputazione, costituisce negozio di ultima volontà ed in conseguenza è revocabile dal suo autore. La successiva revoca della dispensa dall’imputazione ex art. 564 co. 2 c. c., deve essere espressa oppure deve potersi ricavare, ai sensi dell’art. 682 c.c., da una incompatibilità oggettiva tra donazione e successiva disposizione mortis causa; tale ipotesi si verificherebbe, ad esempio, se la donazione superasse di gran lunga il valore della disponibile. Nel caso di specie, invece, essendo il valore della donazione con dispensa da imputazione inferiore a quello della disponibile, l’attribuzione per testamento della disponibile ad altro erede non comporta annullamento della precedente dispensa dall’imputazione della donazione.