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USI CIVICI

  • 19/07/2024

La locuzione “usi civici” fa riferimento a particolari diritti di godimento perpetui che spettano ad una collettività residente in un determinato territorio, estendendosi a ciascun suo componente. In realtà, si tratta di fenomeni eterogenei di origine antichissima, nati in epoche storiche e consuetudini diverse, collegati a forme collettive di gestione della terra. Per questo motivo, gli usi civici possono avere il contenuto più vario, come la caccia, il diritto di tagliare il legno, la facoltà di pascolo, la raccolta di funghi ecc. La presenza dell'uso civico sul terreno potrebbe essere riscontrata nel Certificato di Destinazione Urbanistica. Si precisa, tuttavia, che, nella prassi, l'uso civico spesso non è trascritto correttamente o non risulta affatto. Di conseguenza, è opportuno procedere all'accertamento mediante una ricerca storica, con l’individuazione di documenti originali e catasti antichi per rintracciare l'eventuale presenza dell'uso civico.

 

Un primo intervento del legislatore fu nel 1927 con la Legge del 16 giugno 1927, n. 1766, che aveva l'obiettivo di unificare le discipline preunitarie e regolare la materia in modo coerente. In base alla interpretazione di suddetta legge si è verificato una fondamentale bipartizione in dottrina e giurisprudenza tra gli usi civici gravanti su terreni di proprietà pubblici (iura in re propria) e gli usi civici gravanti su terreni di proprietà privata (iura in re aliena). Per quanto riguarda la disciplina applicabile, i primi sono caratterizzati da un regime di inalienabilità, indivisibilità, inusucapibilità e da una tendenziale immutabilità della destinazione agro-silvo-pastorale. Per i secondi, invece, si ritiene generalmente che siano liberamente alienabili, poiché la legge del 1927 vieta l'alienazione esclusivamente delle terre appartenenti alla collettività, con la precisazione che il terreno si trasferisce comunque gravato dall'uso civico. Di conseguenza, la categoria degli usi civici comprende due diverse discipline giuridiche, a seconda della condizione del bene su cui essi gravano.

Un successivo intervento con la Legge 20 novembre 2017, n. 168 ha generato qualche perplessità per quanto riguarda gli usi civici gravanti su terreni di proprietà privata. La legge in questione dispone nell’art. 3, comma 1, che sono beni collettivi “le terre di proprietà di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati”. La legge continua nel comma 3 del medesimo articolo, stabilendo che “Il regime giuridico dei beni di cui al comma 1 resta quello dell'inalienabilità, dell'indivisibilità, dell'inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale”. Nel suo tenore letterale, sembrava che la legge estendesse il regime di inalienabilità degli usi civici gravanti su beni pubblici anche alle terre private gravate da usi civici. Secondo un'interpretazione letterale della norma, ciò avrebbe portato alla nullità degli atti di trasferimento che riguardano aree private gravate da uso civico.

Con la sentenza 119/2023 la Corte Costituzionale dichiarava l’illegittimità costituzionale di suddetto art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017, nella parte in cui, non esclude dal regime dell’inalienabilità le terre di proprietà di privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati. Le motivazioni della Corte si basano su tre argomenti principali: il primo è il contrasto con l’art. 3 della Costituzione della Repubblica Italiana, poiché situazioni diverse, cioè, uso civico di proprietà pubblico e proprietà privata, venivano trattati in maniera uguale, creando una ingiustificata disparità di trattamento. Il secondo motivo sollevato dalla Corte Costituzionale riguardava la violazione dell'art. 24 della Costituzione stessa, poiché si sarebbe tradotto in una ingiusta compressione del diritto del creditore del proprietario di un terreno gravato da uso civico. Infatti, a causa dell’applicazione del regime di intrasferibilità sarebbe stato impossibile per il creditore di ricorrere ad esecuzione forzata nel caso di inadempimento da parte del debitore-proprietario di terreno gravato da uso civico. Infine, la Corte ha sollevato inoltre il contrasto dell’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017 con l’art. 42 della Costituzione, poiché avrebbe introdotto un regime di inalienabilità che andrebbe irragionevolmente a comprimere il diritto di proprietà privata garantita dalla Costituzione.

Chiarito che il terreno privato gravato da uso civico può essere trasferito, si ricorda che l’uso civico non si estingue con l’alienazione del terreno ed il Notaio è tenuto ad indicare nell'atto la presenza dell'uso civico attivo. In altri termini, la vendita non estingue l'uso civico, che continua ad esistere sul fondo, limitando il dominio con una situazione paragonabile ad un diritto reale limitato su cosa altrui. Per trasferire il terreno privato libero dall'uso civico, è necessario l’affrancazione del fondo che rappresenta una ipotesi di procedura di liquidazione monetaria dell’uso civico. Una volta effettuata l'affrancazione, il terreno può circolare liberamente senza restrizioni.